Tra aperitivi, pacche sulle spalle e sparate grossolane, la campagna elettorale dimentica la sua caratteristica principale: il confronto politico sulle visioni. Si appiattisce su ciò che appare più pagante elettoralmente, con un’inquietante tendenza di molti a imitare, con qualche sfumatura, chi ha vinto le scorse elezioni. Si chiede la fiducia dei cittadini, ma in verità si cerca di ingannarli. Io non ci sto. Perché se oggi non dici la verità, domani non sarai libero di fare il consigliere di Stato. Non farai politica e privilegerai gli inciuci ai ben più nobili compromessi. L’ho imparato lavorando accanto a Laura Sadis un modello quanto a lavoro, rigore, spirito critico e onestà intellettuale: un metodo che non tradirò per qualche like in più su Facebook. Anzi. In questa campagna abbiamo il dovere civile di riaffermare che la politica contro (gli avversarsi politici, il governo, gli stranieri, i frontalieri, Berna, l’Italia, l’Ue) soffocherà il nostro Paese. Che l’antipolitica – sempre più trasversale – è deleteria perché mina la responsabilità individuale, sfalda la società e piccona la fiducia nelle istituzioni, una fiducia che dovremo recuperare tramite il primato della trasparenza e l’inderogabile rispetto della legalità. Dobbiamo avere il coraggio di riaffermare che la politica della chiusura, fisica (dai muri ai contingenti) e mentale (dall’intolleranza a una xenofobia strisciante e pericolosa), impoverirà culturalmente, socialmente e anche economicamente il nostro cantone. Dobbiamo batterci anche contro il conservatorismo. Quello di parte della destra, che vuole un ritorno al passato, ma anche quello di una parte della sinistra che vuole conservare privilegi non più attuali. Con un atteggiamento conservatore forse congeleremmo il presente per un po’, ma non per sempre. Perché in un momento di grandi cambiamenti, dove le rendite di posizione si stanno esaurendo – piazza finanziaria, turismo, ex regie federali –, la vera risposta è guardare avanti. Lo abbiamo fatto negli anni Sessanta e lo dobbiamo fare adesso. Andando oltre le vecchie logiche e contrapposizioni regionalistiche (quasi potessimo esistere gli uni senza gli altri) per costruire una Regione Ticino forte che possa ritagliarsi un posto nel mondo. Senza negare la nostra identità, dalla quale gettare con consapevolezza ponti verso altre culture e altri popoli. Altri popoli da accogliere, purché interagiscano, si confrontino, rispettino gli altri e le leggi. Andando oltre le divisioni che purtroppo esistono ancora tra uomo e donna per abbattere il soffitto di cristallo che c’è ma non si vede, portando avanti un cambiamento culturale nella società, che passa dal ruolo dell’uomo e che va incentivato da alcune misure non solo “per lei”, ma anche “per lui”. Andando oltre la scolarità obbligatoria, perché in un mondo in rapida evoluzione il posto fisso non esiste più: la nuova frontiera è dunque la formazione continua, da coordinare, sostenere e incentivare. Andando oltre la sola quanto fondamentale “libertà di” (di fare, creare e intraprendere) perseguendo anche la “libertà da”: dalle paure, dai condizionamenti – da qui l’importanza non solo di una scuola pubblica forte, di qualità, integrativa, che coltivi i talenti senza perdere nessuno per strada, ma anche della laicità, intesa come il primato della ragione – e soprattutto dai bisogni, perché se non hai un lavoro, o se lo stipendio non ti permette di arrivare alla fine del mese, ne va della dignità stessa dell’individuo nella società. Non c’è libertà senza solidarietà: ricordiamocelo prima che la coesione sociale, conquista e forza del nostro Paese, si sfaldi del tutto. Perché allora sì conosceremo le macerie, le lacrime e il sangue. Ripartiamo non è uno slogan, ma un atteggiamento, quello di chi è stufo della demagogia, del disfattismo, dei complessi di inferiorità mascherati con la spavalderia; quello di chi sa che il futuro può essere nostro solo se continueremo a parlare tra di noi e con gli altri.
La Regione, sabato 21 marzo 2015