La scuola che verrà è la proposta – con pregi e difetti – di Manuele Bertoli per rilanciare il tema formazione nell’agenda politica cantonale. La scuola che non verrà è invece la risposta di non entrata in materia degli oppositori: uno slogan elettoralistico e conservatore che a dirla tutta mi fa rabbrividire, perché la scuola deve venire. E deve venire dopo un profondo e ampio dibattito pubblico. Di questa necessità ne tenga conto chi spinge a tutto gas una nuova e diversa scuola che verrà e chi, invece, sta facendo di tutto per non lasciarla neanche partire. Nell’uno come nell’altro caso la sostanza delle cose non cambierà.
È tempo di intavolare un dibattito vero sulla scuola. Un dibattito che sfugga alle solite tiritere, oscillanti tra il conservatorismo, l’utilitarismo e l’ipocrisia, con proposte semplicistiche e reboanti che pretendono di risolvere tutto: l’educazione civica, l’insegnamento del salmo svizzero, i tablet, le giornate del volontariato, le varie educazioni “mirate” (e fuori contesto).
La buona scuola, infatti, è innanzitutto un’idea. Un’idea di partenza sul senso del suo operato e dunque sul tipo di cittadino e di società che deve contribuire a costruire. In questo senso ogni decisione di fondo sulla scuola è la decisione più politica che ci sia. È il cuore stesso della politica. La scuola, è giunto il momento di ribadirlo, o è un progetto politico nel senso più alto del termine, o non lo è. Solo così potrà essere ciò che deve essere: un luogo in cui non solo si apprendono nozioni, ma anche dove si formano caratteri e personalità, dove si definisce un approccio al mondo, agli altri, ai problemi e alle opportunità della vita. La scuola di oggi è il Paese di domani, il suo prodotto interno lordo e il suo mercato del lavoro, ma soprattutto i suoi valori, la sua tenuta e la sua coesione.
Tra le cose positive del progetto Bertoli rivedo i valori di sempre (in particolare il concetto di scuola integrativa), il fatto di favorire la collaborazione fra docenti, il desiderio di estrapolare le potenzialità degli allievi e il ritorno di una certa manualità. Tra le cose negative una scarsa attenzione alla scuola dell’infanzia, il delicato passaggio tra scuola media e scuola media superiore (in particolare al Liceo) e la questione – non secondaria – del finanziamento delle riforme. Discutiamone insieme dunque. Perché liquidare la proposta del Decs come ideologica è altrettanto ideologico; e decisamente poco liberale radicale. Anche perché noi siamo per una politica per, non per una politica contro. Soprattutto quando si parla di giovani e futuro.