Il periodo natalizio permette, fortunatamente, di consacrare qualche ora in più alle proprie passioni: mi sono così tuffato nella stimolante ricerca storica di Vanessa Bignasca, “La legislazione sul lavoro in Ticino tra eccezioni e resistenze (1877-1914)”, edita dalla Fondazione Pellegrini Canevascini.
Una regolamentazione, quella del mercato del lavoro, che partì dalla preoccupazione dello sfruttamento del lavoro infantile che, prima dell’approvazione a livello nazionale della Legge federale sulle fabbriche nel 1877, smosse singoli Cantoni, a cominciare da Zurigo nel 1815, in questa direzione. Il Ticino se ne occuperà con oltre mezzo secolo di ritardo, in particolare grazie a due Deputati liberali radicali del Mendrisiotto, Giuseppe Gobbi e Francesco Botta, che il 22 aprile 1873 depositarono una mozione – poi accolta all’unanimità dal Gran Consiglio – per regolamentare il lavoro dei fanciulli nelle fabbriche, con particolare attenzione per l’età e la durata del lavoro. L’applicazione – che ebbe solo un debole eco sui giornali e cadde miseramente già nel 1875 – stabilì un massimo di 12 ore lavorative al giorno per l’insieme dei lavoratori nelle fabbriche e affibbiò dei compiti di vigilanza sulla salubrità degli stabilimenti industriali alle autorità locali e distrettuali. Inoltre, il Cantone vietò il rilascio del passaporto per l’emigrazione lavorativa ai ragazzi di età inferiore a 14 anni, soglia diminuita a 12 anni per decisione del Gran Consiglio.
Ad ogni modo, l’interessante e approfondita ricerca storica di Vanessa Bignasca indaga non solo gli antefatti e l’inizio della regolamentazione del lavoro a livello nazionale – anche a seguito del consolidamento delle competenze federali scaturite dalla revisione della Costituzione del 1874 – ma anche la definizione del Regolamento cantonale d’applicazione dell’insieme della legislazione federale sul lavoro nel 1888, la nascita nel 1902 della Camera del lavoro e, infine, la revisione della legge federale, avvenuta nel 1914 ma applicata solo dopo la fine della Grande Guerra. Oltre a farci incontrare anche diversi attori liberali radicali attivi in questo senso – come ad esempio le società operaie liberali, il Deputato Brenno Bertoni, autore a inizio Novecento di un progetto di legge cantonale sul lavoro che non ha poi avuto buon esito per diverse ragioni, e il Consigliere di Stato Giovanni Rossi, che introdusse le ispezioni in fabbrica da parte di un funzionario cantonale (nell’occorrenza il suo segretario) – lo studio ci permette da un lato di seguire l’evoluzione delle normative sul lavoro, dei settori progressivamente coinvolti e delle relative modalità d’applicazione e, dall’altro, di approfondire la percezione di tali legge, come anche le resistenze attive e passive a tali disposizioni.
E qui, viene da commentare, la situazione sembra essere radicalmente cambiata. Se nel periodo indagato si può constatare una certa difficoltà e ritrosia a regolamentare e controllare rispetto ad altre realtà svizzere, oggi il Ticino si caratterizza per una regolamentazione e un sistema di controlli fra i più all’avanguardia a livello nazionale: basti ricordare che oggi, in Ticino, sono stati definiti la quasi totalità dei Contratti normali di lavoro decretati in Svizzera e che, sempre alle nostre latitudini, il 25% dei datori di lavoro viene controllato annualmente, a fronte di una media svizzera del 5%. Qualcosa si è mosso dunque!