Diversi cittadini, nelle ultime settimane, mi hanno chiesto come mai avessi votato no all’introduzione dell’ora di educazione alla cittadinanza; un no che ribadirò anche al voto popolare del prossimo 24 settembre. Di certo non perché io non sia sensibile agli obiettivi della proposta, anzi, ma perché credo che gli strumenti per raggiungerli siano diversi. A fronte, ammettiamolo subito, di un reale problema di carenza civica – non solo per i giovani – che impone una riflessione da parte di scuola, politica e società tutta.
In primo luogo ho votato e voterò no perché lo scorporo porta con sé, purtroppo, un importante taglio delle ore di storia. Ed è una perdita, anche perché già oggi i docenti faticano a completare il programma stabilito. Ma il punto è un altro: la conoscenza della storia non è fine a se stessa, ma piuttosto uno strumento per leggere il presente e costruire il futuro, anche civico. A ben guardare, al di là dei programmi specifici, studiare storia è di fatto studiare civica. È importante non solo per capire chi siamo e come funzioniamo – o per conoscere e interiorizzare diritti e doveri conquistati anche con il sangue – ma soprattutto per avere solidi punti di riferimento in un mondo sempre più globalizzato e liquido.
Secondariamente ho votato e voterò no perché reputo estremamente riduttivo limitare e inscatolare l’insegnamento della civica e della cittadinanza in sole due ore mensili di materia specifica. Il senso dello Stato e delle Istituzioni non si impara a memoria come le caselline, come – evidentemente – non lo si impara solo durante le ore di storia. Lo si impara studiando il testo argomentativo a italiano; approfondendo la geografia e a scienze quando si studia il comportamento delle api; o ancora leggendo Voltaire a francese e perfino a educazione fisica quando impariamo il rapporto tra noi e gli altri, ad esempio in un gioco di squadra. A ben guardare creare cittadini attivi e consapevoli è – e deve essere – l’obiettivo principe della scuola: si veda in questo senso l’articolo 2 della Legge della scuola, sulle finalità, un vero e proprio inno all’educazione alla cittadinanza. Istituire delle ore apposite rischia invece di deresponsabilizzare in questo senso altri insegnanti e altre materie. Se da un lato la politica cantonale invoca a gran voce il superamento dal dipartimentalismo della pubblica amministrazione, dall’altro per la scuola sembra negare l’importanza di un approccio trasversale e interdisciplinare. Fatto peraltro anche di progetti meritevoli, come quello della Gioventù dibatte, che permette a giovani allievi di sperimentare per davvero il confronto democratico, per giunta tirando a sorte le posizioni da argomentare, anche per spiegare che spesso le ragioni non stanno mai totalmente da una parte o dall’altra. Facciamo di più, ma facciamolo innovando, cercando nuove vie, coinvolgendo il territorio.
Ecco perché, pur apprezzando il lungo e laborioso lavoro della Commissione scolastica teso alla ricerca di un compromesso tra Dipartimento e iniziativisti (anche se alla luce dei fatti sminuito dal mancato ritiro dell’iniziativa), ho votato e voterò no a quanto proposto. E forse, a ben vedere, non è così male che se ne parli, così possiamo dibattere su quale tipo di scuola vogliamo, anche perché la scuola di oggi è il Paese di domani, il suo prodotto interno lordo e il suo mercato del lavoro, ma anche i suoi valori, la sua tenuta e la sua coesione.
* Pubblicato su La Regione di oggi