Qualche giorno fa ho avuto il privilegio di partecipare a Berna alla prima conferenza nazionale sulla mobilità, dove oltre 300 esperti in rappresentanza di mondo economico, scientifico, associativo e politico hanno riflettuto sul futuro del settore; l’ho fatto in particolare portando la voce del Ticino nella tavola rotonda politica che ha seguito l’intensa giornata di approfondimenti. Chiaro a tutti, e tutti concordi, che la mobilità del futuro sarà multimodale, automatizzata, condivisa ed ecologica; come anche il fatto che l’ormai vecchia opposizione tra trasporto pubblico e individuale – o tra gomma e ferrovia – è superata dall’arrivo non solo della mobilità lenta (bici, monopattini) ma anche di quella che potremmo chiamare la “mobilità condivisa”(car sharing, bike sharing, piattaforme di condivisione) che spinge sempre più persone verso quella multimobilitàlodata in apertura del convegno dalla Consigliera Federale Simonetta Sommaruga. Da parte mia – oltre che presentare le specificità e le politiche del nostro Cantone, che tutti ben conosciamo – ho cercato di stimolare i presenti sul fatto che la parola centrale per la mobilità del futuro sarà quella di “coordinamento”: coordinamento tra mezzi di trasporto (ad esempio coniugando il carattere flessibile dell’automobile nelle regioni periferiche con l’efficienza del trasporto pubblico negli agglomerati); coordinamento tra infrastrutture sempre più efficienti che consentano fluidità e intermodalità; coordinamento tra livelli istituzionali (anche perché durante la giornata sono stati ribaditi più volte sia la necessità di ricercare soluzioni diverse, specifiche e su misura, sia l’importanza che devono giocare comuni, città e agglomerati nella definizione delle stesse); e infine coordinamento tra politiche pubbliche. La sfida della crescente domanda di mobilità, sommata a un aumento della popolazione, è infatti affrontabile solo con un approccio integrato che coinvolga anche le politiche legate allo sviluppo territoriale (densificazione e rilancio delle zone periferiche), all’urbanizzazione (con una ridefinizione dello spazio pubblico), al lavoro (flessibilità, lavoro da casa, spazi di co-working decentralizzati), alla formazione (ubicazione scuole, mense e differenziazione orari scolastici), alla ricerca e all’innovazione (efficienza energetica, mobilità elettrica, automazione, nuove misure digitali di gestione del traffico). Un approccio olistico, insomma. E questo con la consapevolezza che una totale libertà di movimento – senza regole né incentivi né limiti – possa non solo compromettere di fatto la reale libertà di muoversi (“rien ne bouge quand tout bouge”), ma anche avere delle pesanti conseguenze sull’ambiente di domani (si parla del 32% delle emissioni di CO2), e perciò delle misure di regolamentazione e pilotaggio – se proprio anche di limitazione della libertà personale – possano qui essere considerate anche in un’ottica liberale radicale. Insomma, se in passato la Svizzera ha saputo innovare, ora si trova nella possibilità di mantenere questa tradizione, lavorando non su una nuova cultura (al singolare) della mobilità sostenibile, ma piuttosto su nuove culture (al plurale) della mobilità sostenibile che permettano ad ognuno di trovare la propria via, con l’intento di trasformare lo spostamento da una perdita di tempo a un guadagno di tempo, per sé e per gli altri.
* Pubblicato sulla Regione di oggi.