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Eletto Presidente del Gran Consiglio

Presidente del Consiglio di Stato, Consiglieri di Stato,

Autorità della Città di Locarno, famigliari, amiche e amici,

Care Vicepresidenti – per la prima volta nella storia entrambe donne, e ne sono felice.

Colleghe e Colleghi Deputati,

vi ringrazio per la fiducia e l’onore di affidarmi per il prossimo anno la più alta carica dello Stato, quella di Presidente del Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino. Carica per la quale nutro un profondo e sincero rispetto; e che cercherò di svolgere al meglio delle mie possibilità, con impegno, responsabilità, indipendenza, rigore etico e apertura verso tutte le realtà e sensibilità del nostro Cantone, nessuna esclusa.

Grazie al mio gruppo parlamentare che mi ha proposto per questo ruolo. Grazie a chi mi ha preceduto alla Presidenza, in particolare Claudio Franscella e Daniele Caverzasio per l’apprendistato degli ultimi anni. Grazie a tutti coloro che mi hanno permesso – e ancora mi permettono – di essere qui oggi. Alcuni sono in aula e sulle tribune; altri non sono qui o, purtroppo, non ci sono più, ma porto qui con me i loro insegnamenti, i valori condivisi, il senso dello Stato e delle Istituzioni, la carica ideale e il coraggio delle idee che mi hanno trasmesso con il loro esempio. Grazie infine a chi mi ricorda sempre – come una bussola nel deserto – il vero senso della politica: lasciare a chi verrà dopo di noi una società equa e giusta, un territorio curato, delle infrastrutture solide, una scuola di qualità e l’opportunità di costruire il proprio futuro. Un Paese, insomma, in cui è bello vivere e facile lavorare. Caro Furio, cari bimbi, care e cari giovani, continuate a ricordarmi e ricordarci che il nostro dovere di politici è prima di tutto essere buoni antenati.

Contrariamente a quanto solitamente avveniva, oggi nessuna cerimonia seguirà i lavori del Gran Consiglio; lavori che proseguiranno in modo ordinario, affrontando temi importanti come quello delle misure di sostegno economico, i cosiddetti casi di rigore. Una scelta, quella di rinunciare ai tradizionali festeggiamenti, di responsabilità. Come di responsabilità – individuale e collettiva – sono state molte scelte, anche difficili, compiute negli ultimi lunghi e faticosi 14 mesi, e che ancora sono da compiere per superare questa emergenza certo sanitaria, ma anche economica e sociale. L’esempio di responsabilità non può che venire in primis da noi, in tutti gli ambiti: non solo nel riunirci con mascherine, disinfettanti e plexiglas, ma soprattutto nel nostro agire, quotidiano oltre che politico. “Farò ciò che fai, non ciò che dici”, pensa il cittadino. Anche – se non soprattutto – ora che i nostri spiriti sono messi alla prova e che, pur non sapendo ancora con precisione quanto sia distante il traguardo del ritorno alla normalità, lo vediamo in lontananza, anche grazie alla campagna di vaccinazione che ha finalmente preso velocità. Colgo qui l’occasione per ringraziare tutti coloro che la stanno rendendo possibile, e anche la popolazione che sta dimostrando grande adesione, dando prova di resilienza e responsabilità, perché non si tratta solo di proteggere se stessi ma anche gli altri. Uno per tutti, tutti per uno.

Uno per tutti, tutti per uno. Per molti è il nobile motto dei protagonisti dei Tre moschettieri, romanzo storico di Alexandre Dumas, quando d’Artagnan propone il giuramento ad Athos, Aramis e Porthos – ed è proprio tratto da una scena di un film su di loro il brano appena suonato dal Duo Nostranello, che ringrazio. Uno per tutti, tutti per uno è però qualcosa di più, per noi, cittadine e cittaidini svizzeri e ticinesi. Non a caso lo ritroviamo non solo fra i motti della Confederazione, ma anche nell’affresco sopra le nostre teste, quasi a ricordarci – ogni volta che alziamo lo sguardo – chi siamo e cosa facciamo qui. Quasi a schiarirci le idee in caso di dubbio; a darci energia nei momenti di stanchezza, a farci forza nei momenti di difficoltà; a darci coraggio nel prendere decisioni difficili ma giuste; quasi a spronarci a lavorare insieme, tra parlamentari, nonostante esperienze, sensibilità, idee e visioni diverse; a ricordarci di confrontarci con il Consiglio di Stato certo in modo schietto e con spirito critico, ma sempre con rispetto – anche dei ruoli; e soprattutto ad ammonirci di mai anteporre questioni personali o di partito all’interesse generale. Perché non siamo qui per noi, siamo qui per tutti.

Un atteggiamento che si rende ancora più necessario in momenti come quello che stiamo vivendo, quando la società tende a disgregarsi, a dividersi, a individualizzarsi. E questo non solo perché libertà e risorse diminuscono, ma soprattuto perché – forse per la prima volta nella storia – uomini e donne sono privati del potersi incontrare, darsi la mano, parlarsi, stare insieme, affrontare insieme le sfide del nostro tempo. Ed è qui che la politica può e deve fare la differenza, dando risposte efficaci e tempestive, anche imparando da ciò che è successo: Colleghe e Colleghi, non sprechiamo l’occasione per svolgere al meglio il nostro compito, il nostro servizio, gestendo l’immediato, il presente, e poi favorendo il rilancio, la ripartenza. È un’occasione anche per dimostrare il potenziale della politica, in particolare a chi purtroppo non ci crede più o ne è indifferente.

L’avvicinare sempre più Istituzioni e cittadini è peraltro fra i compiti principali del mio intendere la Presidenza del Gran Consiglio. Per questo nei prossimi mesi cercherò di spiegare e valorizzare il lavoro che svolgiamo, qui in aula, nelle Commissioni, nella stesura di rapporti, nella ricerca dei compromessi e nell’elaborazione di atti parlamentari, anche cercando di coinvolgere i giovani nel nostro lavoro, cercando di infondere anche a loro quel senso delle Istituzioni, quella passione per la cosa pubblica che anima tutte e tutti noi.

Mi avvio alla conclusione. La seconda canzone che sentiremo oggi è invece quella “dell’aviator”, anche conosciuta come “Voglio volare”. Composta nel 1939 dal ticinese Waldes Keller, ricorda “le ali infrante” di quei 7 aviatori ticinesi che, sotto il comando del capitano Decio Bacilieri, morirono nel drammatico incidente della “squadriglia ticinese” il 27 agosto del 1938. Cantone che, ancora oggi, alla base aerea di Locarno è tradizione intonare in occasione del “primo volo solo” dei giovani candidati piloti delle Forze aree, con i giovani militi di tutta la Svizzera che devono impararla, e cantarla, in italiano. Ascoltandola, non solo rendiamo omaggio a questi 7 ticinesi morti per la patria, non solo rendiamo omaggio ai quasi 1000 concittadini da cui ci siamo congedati in questa pandemia, ma soprattutto pensiamo a tutti coloro che a causa di questa situazione soffrono, e ai quali dobbiamo dare ascolto, risposte ma soprattutto coraggio e prospettive. È tempo di ripartire. È tempo di ricostruire. In questo senso il “voglio volar laggiù” della canzone sia non solo un generico auspicio, ma piuttosto un progetto politico: un vento di speranza e ottimismo, la voglia di volare insieme oltre la pandemia, oltre la paura, oltre l’incertezza, oltre le divisioni, oltre il presente per costruire un futuro migliore, “dove mi guida il cuor”, in un Ticino che non è solo come dice la canzone “sole e prati fioriti”, ma è qualcosa di più, molto di più: è la nostra terra, la nostra casa.

Uno per tutti, tutti per uno, Colleghe e Colleghi DeputatiUno per tutti, tutto per uno, Consiglieri di Stato.  Lavoriamo insieme nel rispetto, nella correttezza, nel confronto anche duro ma sempre costruttivo, e soprattutto nel solo e unico interesse generale. Grazie per l’attenzione e buon lavoro a tutti noi.

Servizio al Quotidiano

Intervista al Quotidiano

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