Il rumoroso silenzio degli intellettuali
Nicola Pini
(Pubblicato in La Regione Ticino, 24.12.2011)
Fra i fondatori, nel gennaio del 1974, della sezione ticinese di Amnesty International compaiono non solo consiglieri di Stato, giudici, procuratori e avvocati, ma anche molti artisti e intellettuali, tra i quali diversi accademici, il Direttore generale dell’allora RTSI, il Direttore della biblioteca cantonale, un attore e uno scrittore: presenze, quest’ultime, che meritano di essere sottolineate. Non solo per il loro ruolo di simboli e rappresentanti della « coscienza umana », come affermato dallo scrittore e attivista egiziano Musaad Abu Fagr, rinchiuso tre anni in carcere senza l’ombra di un processo per aver cercato di difendere i diritti dei beduini del Sinai e per essersi opposto al regime di Mubarak. Non solo perché – ha ammesso Dick Marty, relatore accanto al blogger egiziano in una tavola rotonda organizzata per festeggiare i cinquant’anni di Amnesty International – « le istituzioni non garantiscono, da sole, né giustizia né libertà ». Ma soprattutto perché loro, gli intellettuali, hanno un potere che, se esercitato, può essere devastante: i valori repubblicani che ancora oggi ci ispirano grazie alla rivoluzione francese sono frutto della presa della Bastiglia o dell’energia dell’Illuminismo francese dei Voltaire, dei Diderot e dei D’Alambert? I soldati americani abbandonarono il Vietnam – con la coda fra le gambe – per la guerriglia dei Vietcong o per la rivolta giovanile, gli obiettori di coscienza o i movimenti di disobbedienza civile che si svilupparono negli Stati Uniti grazie alla caparbia di grandi leader? Io non ho dubbi, la forza delle idee non va sottovalutata, anzi, « la penna è più potente che la spada ».
Proprio per questo credo nell’assoluta necessità, oggi più che mai, di una maggior presenza pubblica da parte degli intellettuali. I quali devono – dovrebbero? – non solamente come da tradizione rappresentare criticamente la realtà e alimentare il dibattito pubblico, ma soprattutto risvegliare le persone che compongono la nostra società, loro malgrado sempre più assopite – vuoi dall’overdose informativa, da una vita professionale sicuramente (troppo) impegnativa, da un benessere minimo diffuso, dal disinteresse, dalla ricerca del quieto vivere, dall’assillo di difendere i propri privilegi.
In breve, indurre ad indignarsi. Perché non ci si può che indignare di fronte al non rispetto dei più basilari diritti umani, calpestati non solamente a migliaia di chilometri di distanza, ma anche alle nostre latitudini: Norberto Bobbio ci insegna infatti che essi evolvono – per definizione – di pari passo con la società che li circonda. Occorre quindi considerare non solo i diritti umani tradizionali, ancora impercettibili in molte zone del mondo, ma anche altri diritti dell’uomo che, anche alle nostre latitudini, non sono per nulla scontati, quali il diritto all’alloggio, il diritto all’accesso alle cure di base, il diritto ad una formazione adeguata, il diritto al lavoro, il diritto alla dignità: basti pensare, a puro titolo di esempio, che in Svizzera vi sono oltre 120’000 working poor, vale a dire persone che, pur lavorando, non guadagnano a sufficienza per mantenersi e, pagati affitto e assicurazioni, si ritrovano ben al di sotto della soglia di povertà, per una persona sola meno di 2’400 al mese.
Quell’indignazione che conduce all’assunzione di responsabilità, alla mobilitazione, alla partecipazione e all’azione dei cittadini, la forza tranquilla dietro le grandi difese e le grandi conquiste. Quell’indignazione che oggi purtroppo manca e che forse solo gli intellettuali possono risvegliare, a tutto vantaggio di un dibattito pubblico e politico purtroppo sempre più ristretto, nel numero e nel livello. Ben vengano quindi, anche sui nostri quotidiani, le troppo rare riflessioni dei vari intellettuali nostrani…e che aumentino!